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Brexit al via

Brexit al via
La storica lettera con cui la premier britannica Theresa May notificherà l’attivazione dell’Articolo 50 del Trattato Ue di Lisbona, che darà l’avvio al recesso del Regno Unito dall’Unione europea, sarà firmata dalla stessa May stasera. E mercoledì la leader britannica presenterà il contenuto della missiva al suo gabinetto, mentre la versione cartacea con la firma originale sarà portata a Bruxelles, dove alle 13:30 (le 12:30 a Londra) l’ambasciatore del Regno Unito presso l’Ue, Sir Tim Barrow, la consegnerà personalmente al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Scatterà così l’avvio della Brexit, il processo di divorzio della Gran Bretagna dall’Ue.
Tusk farà probabilmente una breve dichiarazione, e comunque è atteso un suo comunicato congiunto firmato anche dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, con le prime reazioni di circostanza dei vertici dell’Ue: rincrescimento per la decisione dei britannici, assicurazioni sul fatto che il negoziato per il divorzio si svolgeranno in buona fede, e sulle intenzioni non punitive dell’Ue nei riguardi di Londra, con l’obiettivo di restare comunque in buoni rapporti. Nel frattempo, a Londra, la Mayy affronterà le domande dei parlamentari sul contenuto della lettera. Tusk ha promesso che la sua prima risposta dell’Ue si avrà entro 48 ore, con l’invio nelle capitali dei Ventisette della bozza delle linee guida dei negoziati con Londra. Le linee guida saranno poi approvate per consenso (cioè all’unanimità) dai Ventisette al vertice convocato da Tusk a Bruxelles il 29 aprile. Pochi giorni dopo, il 3 maggio, la Commissione approverà, sulla base delle linee guida, la sua proposta di mandato negoziale, che i ministri degli Affari europei dei Ventisette dovrebbero adottare, a maggioranza qualificata, entro al fine di maggio. Il mandato sarà quindi affidato alla Commissione stessa, e in particolare al capo della squadra negoziale, il francese Michel Barnier, ex ministro ed ex commissario Ue.
I negoziati veri e propri cominceranno quindi in giugno, e comunque all’inizio dell’estate. Dovrebbero durare al massimo due anni, secondo il Trattato, ma la bozza di accordo finale dovrebbe essere pronta già entro la fine del 2018, per permettere le ratifiche ai parlamenti del Regno Unito, dei Ventisette e al Parlamento europeo. Nel frattempo, il Regno Unito resterà membro dell’Ue, fino alla scadenza dei due anni se i negoziati e l’accordo finale non saranno conclusi prima. C’è anche la possibilità che i negoziati siano più difficili del previsto, e che i Ventisette decidano, all’unanimità, di prorogare il termine di due anni (che cadrebbe il 28 marzo 2019). Ma l’ipotesi più probabile è che le parti decidano di negoziare un accordo provvisorio, a partire dalla scadenza dei due anni, riguardante almeno i settori più problematici, con periodi temporanei e “phasing out” che potrebbero essere lunghi anche diversi anni, in cui comunque il Regno Unito non sarebbe più pienamente membro dell’Unione. Proprio oggi, Theresa May ha ricordato che non ci sono da negoziare solo le questioni commerciali, l’accesso ai mercati o la libera circolazione delle persone, ma anche, ad esempio, gli accordi di cooperazione riguardo alla sicurezza e agli affari interni e di giustizia (come il mandato d’arresto europeo, o l’accesso a Europol).
Le posizioni negoziali iniziali sono abbastanza dure, con la prevalenza a Londra, per ora, della linea degli “hard brexiter”, che immaginano una uscita del Regno Unito non solo dall’Ue ma anche dal suo mercato unico (escludendo, quindi, accordi come quelli esistenti tra l’Ue e la Norvegia o l’Islanda). Gli europei, da parte loro, giurano che non accetteranno mai un accordo che mantenga la libera circolazione di merci, servizi e capitali, ma non delle persone. Se nessuno recederà da queste posizioni, vi sarà il ritorno delle tariffe e delle dogane ai confini fra il Regno Unito e l’Ue, compresa la frontiera fra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord, oltre che la fine della libera circolazione delle persone. Bruxelles, inoltre, ha fatto circolare la cifra di 60 miliardi di euro che Londra dovrebbe pagare per onorare tutti i contratti sottoscritti da Stato membro dell’Ue, per finanziare il bilancio comunitario (la programmazione in corso copre i sette anni dal 2014 al 2020), compresi i programmi di coesione e le spese amministrative (anche, ad esempio, per le pensioni dei funzionari europei di nazionalità britannica). Si tratta di una cifra su cui, con tutta probabilità, si negozierà a lungo. Come su tutto il resto.