CRONACA

Tragedia del Moby Prince, il discorso del Sindaco la cerimonia commemorativa




Tragedia del Moby Prince, il discorso del Sindaco in occasione della cerimonia commemorativa
martedì 10 aprile, si sono svolte le cerimonie commemorative per ricordare la tragedia del traghetto Moby Prince, in cui 28 anni fa, al largo di Livorno, persero la vita140 persone.
Saluto e ringrazio tutte le amministrazioni presenti, come sempre numerose, che hanno voluto unirsi a noi in questo momento di ricordo e commemorazione delle 140 vittime del Moby Prince.
Vi porgo i saluti del Presidente della Repubblica che ci ha indicato di non poter essere presente a causa di impegni già programmati per questo periodo, pur restando “idealmente vicino alle famiglie delle vittime nel ricordo dei loro cari”.
Vi porgo i saluti del Presidente della Camera Roberto Fico, anche lui assente per impegni istituzionali, che tuttavia ringrazio personalmente per aver dato testimonianza quest’anno di un cambio di rotta su questa vicenda, con la concessione del patrocinio della Camera dei Deputati alle iniziative di questa giornata commemorativa. Questo patrocinio arriva per la prima volta dopo 28 anni di attesa e credo sia giusto sottolinearlo.
Vi porgo anche i saluti del Sindaco di Napoli che, per impegni istituzionali improcrastinabili, non può partecipare alla commemorazione ma è “idealmente presente al fianco di chi si batte per la ricerca e per l’affermazione della verità”.
Saluto e ringrazio infine i familiari delle vittime, rappresentati dalle Associazioni 140 e 10 aprile, che anche quest’anno hanno scelto di tornare a Livorno per unirsi alla città nel ricordo di quanto avvenuto 28 anni fa e costato la vita ai loro cari.
Per me sarà l’ultimo 10 aprile da Sindaco e, devo ammetterlo, questo mi emoziona profondamente.
Ho indossato per la prima volta la fascia tricolore di Sindaco di Livorno, davanti a voi, il 10 aprile 2015. Quel giorno dissi che dovevamo saper usare le parole con maggior consapevolezza e coraggio, perché quella del Moby Prince non era stata una tragedia ma una strage. Dissi che quella parola, “strage”, doveva servire a squarciare il muro di silenzi e di oblio che era stato innalzato intorno a questa vicenda, e sostituirsi a quel termine “tragedia” che aveva indirizzato per troppo tempo l’attenzione verso l’idea che quella del Moby Prince sia stata una drammatica fatalità, contro la quale nulla si sarebbe potuto fare.

foto di archivio

Sono passati 4 anni da allora e oggi l’associazione tra quanto avvenuto quella notte e la parola strage non è più un tabù. Parlò di strage qui Silvio Lai, il Presidente della commissione d’inchiesta parlamentare che ha riscritto larga parte della storia di questa vicenda, e oggi gli organi di stampa citano che proprio a questo tipo di reato potrebbe far riferimento la nuova inchiesta, la terza, che la Procura di Livorno sta avviando sul Moby Prince.
Non voglio perdermi in tecnicismi giuridici che spettano ad altri. Se lasciar morire 140 persone in attesa di un soccorso mai arrivato, che almeno per alcune di quelle persone poteva risultare salvifico, configuri il reato di strage o di omicidio plurimo con dolo eventuale o qualsiasi altra fattispecie prevista dal codice penale a questo tipo di responsabilità, lo dovrà dire la magistratura. Di certo noi possiamo dire oggi che quella del Moby Prince fu una strage di fatto. Fu il frutto di un insieme di scelte che posero l’interesse privato, prima di quello collettivo. Fu il risultato di una propensione da parte dei molti attori protagonisti sulla scena al pensare a sé, ai propri circuiti, al lasciarsi guidare da ragioni che in larga parte ancora restano ignote, scegliendo di mettere queste davanti al rischio di contribuire alla morte di 140 persone innocenti.
Oggi, grazie alla commissione d’inchiesta parlamentare, sappiamo che la più grave strage sul lavoro della storia repubblicana, e più grande tragedia della marineria civile dal dopoguerra, non fu causata da chi è morto quella notte, nel tentativo di mettere in sicurezza i passeggeri e l’equipaggio.
Quelle persone, quell’equipaggio a lungo vilipeso e oltraggiato da una narrazione nazionalpopolare che sa tanto di depistaggio orchestrato – il famoso “guardavano la partita” – morì eroicamente, così come morirono eroicamente tante delle vittime che per formazione e capacità avrebbero potuto pensare a sé e invece si misero al servizio di altri quella notte. Si misero al servizio dei più deboli, cercarono di rassicurarli, di guidarli verso una salvezza che invece non arrivò per – e lo dico con grande rabbia e indignazione – un eccesso di fiducia.
Oggi possiamo dire che i 140 morirono perché si fidarono dello Stato. Si fidarono del fatto che qualcuno li avrebbe soccorsi di lì a breve, che qualcuno di certo aveva sentito il loro May Day, i loro May day. Si fidarono al punto da rimanere per ore nel luogo più sicuro di quella nave in caso di incendio a bordo.
Quella fiducia tradita ha continuato ad essere tradita dallo Stato per oltre 25 anni, con sentenze e richieste di archiviazione che oggi, grazie alla commissione d’inchiesta, possiamo dire sbagliate. Ha continuato ad essere tradita con l’assenza delle istituzioni centrali di questo Stato a questi anniversari, con il silenzio mediatico, col mancato ascolto delle istanze dei familiari delle vittime, i veri eroi civili di questa storia che per tutti questi anni hanno sempre chiesto e cercato la verità senza mai andare sopra le righe, rispettando le leggi di questo Stato, esprimendo le loro ragioni sì con determinazione ma con un profondo rispetto verso la Repubblica italiana.

Io voglio ringraziare queste persone, voglio ringraziare tutti voi che 28 anni fa avete perso su quella nave un pezzo della vostra vita e ci avete insegnato cosa significhi lottare nelle battaglie più vicine per raggiungere gli scopi più lontani, e permettetemi di rivolgere un ringraziamento speciale anche a chi di voi non c’è più come il nostro concittadino Enzo Farnesi, che in tutti questi anni ha contribuito a questa battaglia per la sua Cristina ed è morto avendo raggiunto almeno una parte importante della verità, senza però il conforto della seconda.
Concludo questo mio intervento con un appello: la magistratura ha oggi un compito importante, concludere il percorso di riscatto che lo Stato ha avviato con la commissione d’inchiesta. E per farlo deve avere il coraggio di mettere sotto accusa un sistema di potere che in questa vicenda ha giocato un ruolo decisivo.
Livorno vuole iniziare ad essere ricordata come la città dove dopo 28 anni, grazie al coraggio, alla solidarietà e al bisogno di giustizia di onesti cittadini, si compia e completi il riscatto sociale e civile di questo Stato, capace finalmente di dare verità e giustizia ai familiari delle 140 vittime e a chi, come tutti noi, è e resterà sempre al loro fianco in questa battaglia di civiltà.

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