Il ricordo di Papa Francesco Di Matteo Renzi
Il ricordo di Papa Francesco Di Matteo Renzi
In queste ore di dolore per la morte di Papa Francesco convivono vari sentimenti.
Per chi crede, come me, è rilevante l’aspetto religioso: qual è lo stato di salute della Chiesa? Quali sfide attendono i cattolici oggi?
Ma adesso avverto, soprattutto, il desiderio del ricordo personale.
Ho avuto la fortuna di incontrare molte volte il Papa. Francesco non amava il protocollo. E dunque è capitato in più di una circostanza di andare a trovarlo senza dirlo a nessuno, se non agli uomini della scorta. Uscivo in incognito da Palazzo Chigi con una utilitaria, ed entravo in Vaticano, a Santa Marta, per dialogare in modo informale con Papa Bergoglio. Erano scambi di opinione soprattutto sulle vicende internazionali, in una stagione segnata dagli attentati degli estremisti islamici. Tengo per me, come è giusto, il contenuto di quei dialoghi ma mi colpisce un particolare: tutte le volte che finivamo di parlare il Papa mi accompagnava fino alla macchina. Anche quando aveva mal di schiena (allora capitava spesso) si aggrappava al corrimano, saliva le scale e aspettava che uscissi e salissi in auto. E quando gli dicevo: Santo Padre, stia qui, salutiamoci adesso, non si preoccupi, mi rispondeva che lo faceva con tutti e che era un dovere di ospitalità.
Piccoli gesti di attenzione.
Come quello che volle regalarci nelle prime settimane della mia esperienza di Governo nell’aprile 2014. Con Agnese, Francesco, Emanuele e Ester entriamo a Santa Marta per un incontro strettamente privato. Nessun fotografo. La famiglia è naturalmente scombussolata dal cambiamento di vita. Papa Francesco resta da solo per oltre mezz’ora con noi, a parlare con i ragazzi. Il Papa ci accoglie e ci fa sentire a casa. Chiede ai figli come va a scuola. Si mette in cerchio con noi e propone di recitare tutti insieme un’Ave Maria. Alla fine della preghiera Emanuele dice la cosa più semplice e più bella: sembra di stare con Padre Enrico. Padre Enrico è il sacerdote gesuita che la nostra famiglia aveva imparato a conoscere ed apprezzare durante i periodi di “discernimento” che la spiritualità ignaziana offre. Essere nel cuore del Vaticano e sentirsi come in famiglia.
E allora il Papa saluta: “mi raccomando, ho fatto un patto con il vostro papà. Io pregherò per lui, lui pregherà per me”. E in pulmino tornando verso Palazzo Chigi i commenti dissacranti dei miei figli sul fatto che questo accordo non fosse equo perché “dai babbo, così non è giusto: il Papa prega davvero, non è come te che ti addormenti”. E poi discussioni sul dono di famiglia. Perché il ritratto che Ester – che allora non aveva ancora 8 anni – gli aveva preparato come regalo, secondo i maschi, non andava bene: il Papa era vestito con una tonaca azzurra. “Scusa Ester perché lo hai fatto azzurro?” “Eh, non è che potevo lasciarlo bianco e avevo solo l’azzurro come colore.” “Ma così sembra il Grande Puffo”. “Uffa, lui mi ha detto che gli è piaciuto!”. Insomma: eravamo andati ad incontrare il sommo Pontefice della Chiesa universale ma la famiglia Renzi si era sentita accolta nel modo più semplice e profondo perché Francesco si era posto con quell’umanità che lo ha reso speciale. Certo, aveva anche il suo caratterino mica da ridere. E non amava la strumentalizzazione di una parte del mondo politico, religioso, accademico.
Così, il giorno prima delle Europee, nel maggio 2014, decido di non andare a salutarlo all’aeroporto mentre è in partenza per un viaggio in Terra Santa. Un’antica consuetudine prevede che il Presidente del Consiglio si rechi a Fiumicino o Ciampino per salutare il Santo Padre alla partenza del volo. È il sabato della vigilia elettorale. Politicamente è una ghiotta occasione. Francesco è amatissimo, soprattutto nei primi mesi di pontificato. Tutte le telecamere sono pronte a riprendere le immagini della sua partenza per Gerusalemme. I miei mi dicono: dai che ci facciamo un giro sui TG senza violare la par condicio. Magari ci aiuta anche per le elezioni. Non mi va. Decido allora di mandargli qualche ora prima un biglietto a mano: “Santo Padre, scusi se non vengo a salutarla. Ma siamo in campagna elettorale. Magari la mia presenza diventa occasione di polemica anche verso di Lei. Verrà una rappresentante del Governo, io resto a Palazzo e spero comunque di rivederla presto”……
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Livorno, articolo pubblicato dalla redazione il giorno 22 Aprile 2025
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